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Dipendenti Balducci: "L'umiltà di Carla e Giuliano, poi giovani senza esperienza"

3/5/2016 - 23:57

PIEVE A NIEVOLE - Un gruppo di ormai ex-dipendenti del calzaturificio Balducci scrivono una lettera aperta.

"Abbiamo avuto il privilegio di lavorare per la Balducci lavorando fianco a fianco con i fondatori di quella che a questo punto era una delle aziende fiore all’occhiello della nostra provincia. Alcuni di noi lo hanno fatto fino alla pensione, altri no, ma quello che ci accomuna è il grande dispiacere per quello che leggiamo in questi giorni sui giornali.


Abbiamo detto “dispiacere” e non “sorpresa”, perché purtroppo il destino di questa azienda, in mano all’attuale gestione, era segnato da anni. Era segnato da quando Giuliano Balducci, prima di andarsene sbattendo la porta nel 2005, ci convocò tutti in fabbrica, impiegati e operai e disse: “Mi costringono ad andare via, ma ricordatevi bene che con questi qua non durate 10 anni. Vedrete!”. Giuliano è poi morto da solo, nella sua solitudine dorata. I figli lo hanno appreso un mese dopo per suo stesso volere. Al funerale c’erano le maestranze e non la sua famiglia. L’ultima profezia era praticamente corretta.


Il destino era segnato perché della classe e della umiltà di Carla Rossi e delle intuizioni dei manager degli anni ’80, e della presenza costante in produzione di Giuliano, non era rimasto più niente.


Successivamente invece, abbiamo assistito alla più totale improvvisazione alla guida della azienda. Scelte costantemente sbagliate, arroganti, impopolari, contro alla natura stessa di un  prodotto da sempre apprezzato, contro i consigli dei pochi “responsabili” della vecchia generazione o ammoniti dai rappresentanti più capaci della rete vendita, che negli anni si sono stufati e sono andati a fare le fortune di altre aziende.


Navigazione a braccio. In un periodo si decideva di improvvisare i franchising (chiusi tutti dopo un anno). In un altro si lanciava un nuovo marchio per la grande distribuzione investendoci centinaia di migliaia di euro (Yabayù), per poi buttare via buttare via tutti quei soldi perché non piaceva più il nome, cambiandolo con Averis. In qualche stagione si praticava la politica del prezzo basso. La stagione successiva si faceva l’esatto contrario. Poi si decideva di andare a produrre tutto in Tunisia (lasciando a casa 35 persone), e dopo poco si smetteva di fare qualsiasi controllo di qualità direttamente nel paese africano. Quando arrivavano le scarpe impresentabili, era troppo tardi per rimediare, ed in questo modo arrivavano dai clienti. Non parliamo poi della merce che arrivava a volte ammuffita dalla Cina. Pulita scarpa scarpa e inviata lo stesso ai clienti. E dire che tutta la famiglia, 2 volte all’anno, andava a conoscere i fornitori, spendendo centinaia di migliaia di euro che gravavano sull’azienda quando sarebbe bastato mandare 2 persone competenti (con un decimo del costo) per ottenere un risultato migliore.


Qualcuno poi si chiede perché le quote di mercato ed il fatturato calavano?
Il problema vero della azienda Balducci non è stata la crisi di mercato. Quella ha inciso, ma ha inciso per tutti gli attori. Il problema enorme è sempre stata l’incapacità di base della direzione di gestire questa azienda, a differenza di chi li ha preceduti. Carla e Giuliano mettevano manager, laddove non arrivavano con le loro capacità. Questa generazione ha messo i figli senza esperienza a fare una cosa che non sapevano fare nemmeno loro.


Hanno reinvestito nel tempo dei soldi. E’ vero. Ma che tutti sappiano che il loro tornaconto c’è sempre stato. In tutti queste settimane di dibattiti sui giornali non abbiamo mai visto nessuno chiedersi come fa una azienda normale a passare in un anno da un utile (2014) a una perdita (2015) di 6,5 milioni di euro. Ma davvero nessuno si fa qualche domanda seria nelle istituzioni, negli organi di controllo?


Gli ultimi mesi sono stati una farsa clamorosa. Una presa in giro più unica che rara. A luglio, mentre si decideva la mobilità per 12 persone, si acquistavano 2 fiammanti vetture per i figli, con i soldi dell’azienda. Con quei soldi si potevano stipendiare per 1 anno, 3 persone. A settembre e ottobre si giocava con i sindacati cambiando le carte in tavola ogni volta. A ottobre si compravano tutti i materiali per produrre l’ultima stagione in un colpo solo e poi si smetteva di pagare tutti i fornitori (e ricordatevi che alcuni di essi avevano nella Balducci il loro più importante cliente). A novembre i magazzinieri che si volevano mandare via a luglio, venivano dichiarati nuovamente “fungibili” perché si dovevano fare gli stock di tutte le scarpe e iniziare a liquidare. A dicembre si faceva finta di voler rilanciare l’azienda con la cassa integrazione per 1 anno. A febbraio si consegnava il campionario agli agenti di vendita in ritardo di un mese e si facevano partire a girare per tutta Italia sapendo benissimo che dopo un mese gli si sarebbe detto che tutti gli ordini raccolti non sarebbero stati prodotti.


Noi oggi non siamo toccati economicamente da questo fallimento, ma lo siamo nel cuore, perché quello che avevamo costruito insieme a Carla e a Giuliano, è stato oggi ceduto al primo offerente, senza dare il tempo a imprenditori della zona di capire come e se poter continuare una grande tradizione monsummanese.


Queste sono le cose che voi giornali dovreste pubblicare, non fare la semplice cronaca di quello che vi vogliono far vedere. Dovreste entrare nel merito di quello che è successo. Questa è la storia della ditta Balducci. Non servirà ai 45 lavoratori che chiuderanno la porta per sempre, ma almeno che sia di monito per tutti gli altri imprenditori".

 
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