Valdinievole OGGI La Voce di Pistoia
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Rispondo al lettore che ha pubblicato il suo punto di vista in merito al camioncino dei panini . Io penso che volevano semplicemente dare un servizio alle persone che uscendo dalla discoteca possono avere .....
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VALDINIEVOLE STORICA
di Giancarlo Fioretti
Le avanguardie parigine attraverso gli occhi di Libero Spartaco Andreotti da Pescia

28/2/2016 - 17:11

Un caffè, talvolta, può cambiare la vita, soprattutto se bevuto nel posto giusto ed al momento giusto. Miracoli di questa bevanda dal profumo avvolgente, che grazie alla sua esistenza ha favorito la nascita di luoghi davvero interessanti, come i caffè letterari. E in uno di questi, dal mobilio ricercato e dalla tappezzeria pastello, è iniziata l'avventura artistica ed umana di Libero Spartaco Andreotti, senza ombra di dubbio uno dei più grandi scultori del Novecento.

 

Siamo nella Lucca di fine Ottocento. Sul trono siede Umberto I, mentre l'avveduto Giolitti è a capo del governo. L'opinione pubblica, soprattutto quella benestante, inizia a bramare le la conquista di un impero coloniale. I sapori ed i profumi esotici sono una sorta di miraggio per coloro che sognano l'Africa. Un sogno pericoloso, che terminerà anni dopo nella piana di Adua.

 

Ma a Lucca questo sogno può materializzarsi anche stando seduti ai tavolini del Caffè Caselli, in via Fillungo. Oltre al profumo del caffè, l'atmosfera è inebriata dagli effluvi delle spezie, di cui l'esercizio è fornitissimo. Ben presto i più bei nomi dell'arte, della musica e della letteratura cominciano a frequentarlo, lucchesi e no. Giovanni Pascoli divenne intimo amico di Alfredo, il titolare dell'attività. Musicisti come Gaetano Luporini ed Alfredo Catalani passavano ore a discutere di accordi e melodie davanti al bancone, magari litigando con Giacomo Puccini, la cui abitazione era ad un tiro di schioppo. Il pittore Viani, che in seguito avrebbe dato lustro alla Versilia, cercava artisti in grado di tenergli testa su argomenti come la pittura e la scultura.

 

E, un bel giorno, trovò davvero chi poteva condividere con lui i suoi interessi. Si trattava di un giovanottino appena diciottenne, giunto da poco tempo dalla natia Pescia, dove era nato nel 1875. Suo padre si occupava di commercio di vini mentre la madre, la lucchese Tecla Orsi, fra un figlio e l'altro (la coppia ne ebbe nove) si dilettava a scrivere poesie. Libero fu costretto sin dagli otto anni a lavorare da apprendista presso l'officina di un fabbro. Ma quella non era la vita che sognava.

 

Quando la famiglia, seguendo il lavoro del padre, si trasferì nella vicina Lucca, aveva già diciassette anni. Passeggiando sulle mura giurò di cambiar vita. Iniziò a studiare come autodidatta, riuscendo a trovare un impiego da scrivano. Era il primo passo verso un'esistenza migliore, che iniziò a materializzarsi...bevendo un caffè al bar. Come abbiamo detto il Caffè Caselli non era un bar qualunque. Qua si trovò a contatto con intellettuali del calibro di Vico Fiaschi e Luigi Campolonghi, scrittori legati al mondo anarchico e socialista.

 

Fu attraverso la loro influenza che il ragazzo si avvicinò al socialismo, mentre dall'osservazione dei pittori che frequentavano il caffè ebbe l'ispirazione di dedicarsi alle arti plastiche e decorative. Il primo ingaggio lo ricevette dallo stesso Caselli, che gli commissionò la decorazione a tempera di una sala del palazzo Guidiccioni, di sua proprietà.

 

Il ragazzo sbocciava di giorno in giorno e di questo se ne resero conto gli zii Teresa e Ferruccio Orsi, autori piuttosto famosi di libri per l'infanzia. Facendo leva sulle loro conoscenze, lo inviarono a Palermo, ove collaborò per un paio d'anni alla casa editrice Sandron come illustratore, caricaturista e vignettista. In Sicilia conobbe inoltre il principe Alessandro Tasca di Cutò, deputato socialista, che contribuì a far conoscere oltre i confini isolani le qualità del giovane.

 

Agli albori del Novecento fece ritorno in Toscana, stabilendosi a Firenze. Fu assunto nella tipografia di Augusto Chini come illustratore di libri e periodici. Questo gli consentì di entrare in contatto con il fior fiore dell'intellighenzia fiorentina e di iniziare la sua collaborazione sia per il celebre editore Nerbini che per il periodico 'Il Marzocco' di Adolfo Orvieto. Consapevole tuttavia dei suoi limiti come disegnatore e desideroso di migliorare la sua tecnica, si iscrisse nel 1901 all'Accademia delle belle arti, che frequentò per circa tre anni.

 

Tuttavia il suo destino non stava nella pittura bensì nella scultura. Di questo se ne rese conto lo scultore fiorentino Mario Galli, che lo aveva ospitato nel suo atelier allo scopo di verificarne le capacità. La facilità con cui modellava la creta, dando un'espressività ed un pathos drammatico alle sue opere, dettero ragione all'intuito di Galli. Con l'aiuto di quest'ultimo e con l'interessamento del principe di Cutò, Libero riuscì ad aprire un suo studio in Borgo Ognissanti, una strada piena di luce nei pressi delle sponde dell'Arno.

 

Fra le sue prime opere vi sono le terracotte 'Pan fanciullo' e Vulcano fanciullo', quest'ultima esposta oggi alla Galleria d'arte Moderna di Milano. Esordì alla Biennale di Venezia nel 1905, e da allora iniziò la sua parabola ascendente interrotta soltanto dalla morte. Aderì al Simbolismo e al Divisionismo e nel 1907 espose per la prima volta a Parigi.

 

Ormai il suo nome era conosciuto e critici d'arte dello spessore di Vittorio Pica e di Margherita Sarfatti (la futura musa del futuro duce...) ne tessevano le lodi. Attento all'evoluzione delle tendenze artistiche, capì che il simbolismo stava esaurendo la sua vene creativa. Non esitò quindi a gettare il suo sguardo al 'nuovo che avanzava', che all'epoca era il Sintetismo, elevato allo zenith interpretativo dall'esotizzante Gauguin.

 

In Francia passò dieci anni bellissimi esponendo nelle più importanti gallerie e lavorando per committenti di prestigio. Sono del periodo francese tre delle sue sculture più prestigiose, come 'La danzatrice con grappoli d'uva', 'La danzatrice con maschera di Medusa' e 'Pomona'.

 

Si sarebbe stabilito lungo la Senna se l'Europa non fosse scivolata verso la follia della Prima Guerra Mondiale, cui Andreotti partecipò come interprete per le truppe francesi impegnate sull'altipiano di Asiago. Tornò a stabilirsi a Firenze, ove strinse amicizia con il giornalista Ugo Ojetti, futuro aderente al movimento  fascista che in riva all'Arno ebbe un seguito, purtroppo, oceanico fra i giovani permeati di idee futuriste. E' di questo periodo la celebre opera denominata 'Targa Resinelli', dedicata al grande ginecologo. Ancor oggi il capolavoro è esposto presso gli Ospedali Riuniti di Careggi.

 

Il dopoguerra ne consacrò la fama, con la realizzazione di una serie di Monumenti funebri e celebrativi della Vittoria (ricordiamo quelli di Roncade, di Saronno e di Vidor. Ottenne la cattedra di 'Plastica decorativa' presso l'Istituto Artistico Industriale di Firenze e vinse il concorso per la realizzazione del Monumento alla Madre Italiana ancor oggi situato in Santa Croce. L'arcivescovo di Firenze Alfonso Maria Mistrangelo non apprezzò l'opera. Ma la sua fu una voce isolata. Gli ultimi anni lo videro impegnato in opere di dimensione privata, cariche di espressività e di realismo. Morì improvvisamente il 19 aprile del 1933 in seguito ad un attacco cardiaco, quando la sua fama era all'acme.

La sua notevolissima produzione di bronzi e terracotte si trova sparsa nei musei più importanti d'Europa. I gessi usati come modelli, nonché il suo immenso archivio di lettere e commenti, si trovano invece a Pescia, ove nel Palazzo del Podestà il Comune ha dato vita ad una gipsoteca che è considerata una vera e propria eccellenza. Merito anche e soprattutto della famiglia, che negli anni Settanta ritenne opportuna la donazione.

Per meglio definire questo artista consigliamo dunque un libro, un luogo ed un lascito morale.

LIBRO: La cultura europea di Libero Andreotti, di Silvia Lucchesi a cura di Luigi Pizzorusso, casa editrice Silvana, Cinisello Balsamo (Milano)

LUOGO: senza ombra di dubbio la Gipsoteca Andreotti di Pescia

LASCITO MORALE: Per Andreotti l'arte era esposizione pubblica, mai contemplazione privata. E la sua famiglia ha recepito a suo tempo il suo messaggio.

 

di Giancarlo Fioretti 

 
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28/2/2016 - 17:29

AUTORE:
Andrea f.

Ancora una scoperta, una storia che ci riporta ad un mondo che adesso non c'è più, purtroppo. Un mondo aperto ..libero ..mai provinciale.