Valdinievole OGGI La Voce di Pistoia
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Siamo ancora al 23 luglio e i motori della stagione 2024/2025 si stanno già accendendo.

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Dopo Santiago di Compostela, Pistoia e Roma, l’allestimento fotografico è stato ospitato a Napoli.

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Confermata anche nel 2024 la presenza dell’associazione pistoiese Culturidea sul palco del Porretta Soul Festival.

Ferragosto nella valle
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VALDINIEVOLE STORICA
di Giancarlo Fioretti
Giovanni Francesco Grossi, detto "Siface": una divo da melodramma, una vita senza tempo

21/2/2016 - 13:10

L'artista è colui che padroneggia un'arte. Il divo è colui che la domina fino ad identificarsi totalmente con questa. Di artisti ne nascono parecchi, un po' in tutte le sfaccettature dell'umano ingegno. Di divi la natura è avara, e Giovanni Grossi è stato uno di questi.

 

Amò in modo così viscerale il canto da passare alla storia con il nome di un personaggio da lui magistralmente interpretato sul palcoscenico, vale a dire il re di Numidia Siface.

 

Siamo a Venezia intorno al 1670. Al Teatro dei Santi Giovanni e Paolo si rappresenta il melodramma Scipione l'Africano, scritto dal conte Nicolò Minato. Il giovane Giovanni interpreta la parte del re di Numidia, che nell'architettura dell'opera è sì una colonna portante ma non certo l'architrave principale. Il pubblico resta incantato quando con la sua voce riesce a modulare delle tonalità da contralto che vanno a toccare l'anima.

 

Sì, avete capito bene. Giovanni era un contralto e, come gli appassionati d'opera sapranno, tale tonalità viene di norma raggiunta da cantanti donne. Dico 'di norma' poiché siamo nel Seicento, in piena epoca barocca. L'Italia è sotto il tacco del trono di Spagna e la Chiesa opprime con il suo bigottismo e il suo oscurantismo l'intera vita culturale della Penisola. Di donne in teatro neanche a parlarne. Sul palco sarebbe sconveniente se si esibissero. Ma la musica barocca ha un bisogno spasmodico di tonalità femminili. Le sue note, il suo afflato in generale rifuggono da estensioni melodiche troppo basse.

 

Cosa fare dunque? La risposta fu tristemente immediata, con il ricorso in massa ai cantori evirati. Questi 'artisti per forza' domineranno le scene melodiche per quasi due secoli. Ci vorranno gli eserciti di Napoleone per riportare una ventata di femminilità sul palcoscenico ed un po'di laicità in Italia (ricordate il film Il Marchese del Grillo?). Nel Seicento dunque i castrati (così venivano seccamente chiamati) erano i dominatori del melodramma. Per divenire tali, venivano sottoposti in età pre puberale, generalmente intorno ai dieci anni, a un intervento chirurgico di asportazione dei testicoli. Con questo scempio conservavano la voce acuta dell'infanzia e non sviluppavano quelle caratteristiche somatiche, come la barba ad esempio, che potevano caratterizzarli come uomini.

 

Città come Mantova, Ferrara, Roma, Napoli e Firenze divennero note per questo particolare tipo di chirurgia. Delle Casablanca ante litteram, potremmo dire oggi. E fu proprio a Firenze che il giovinetto subì questa invasiva metamorfosi. Fu scovato a Chiesina Uzzanese, dove nacque nel 1653, dagli emissari del cardinale Benedetto Pamphili. Si trattava di una sorta di talent-scout incaricati di reperire i cantori per il futuro. Si recavano dalle famiglie povere con numerosa prole. E queste, anche all'udire un nome altisonante come quello di un principe della Chiesa, non esitavano a sacrificare uno dei propri figli.

 

Le operazioni avvenivano praticamente senza anestesia e in condizioni igieniche carenti. I morti superavano i vivi. Ma per quei pochi che riuscivano a sopravvivere, era assicurato il passaporto per il mondo dell'arte. Giovanni sopravvisse ed inizialmente fu inserito nel coro della cappella del cardinale. La religiosità barocca necessitava di musiche che accompagnassero le invocazioni religiose. E di castrati ce ne era sempre bisogno.

 

Divenuto troppo grande per guidare il coro dei giovinetti, ebbe la dispensa cardinalizia per tentare la scalata nel mondo del melodramma. Del successo di Scipione l'Africano ne abbiamo già parlato. Seguirono altri trionfi in tutta Italia. Al Teatro alla Pergola di Firenze restò memorabile la sua interpretazione di Nettuno in Ercole in Tebe, opera rappresentata in onore delle nozze fra Cosimo III e Maria Luisa d'Orleans. Eccelse, come solo un contralto poteva fare, nella parte femminile di Erodiade, nell'opera Giovanni Battista di Alessandro Stradella rappresentata a Roma nella basilica di S, Giovanni dei Fiorentini. Dove si recava, mieteva trionfi.

 

Divenne intimo amico del Duca di Modena Francesco II, mentre veniva altrettanto idolatrato alle corti dei Savoia a Torino e degli Estensi a Ferrara. e fu proprio grazie alla stima di una componente della famiglia Este se la sua fama varcò non solo le Alpi ma attraversò anche la Manica. Beatrice d'Este era infatti la moglie del re d'Inghilterra Giacomo II Stuart e fu lei a convincere il marito a convocare a corte il grande Siface. Giacomo II ne rimase affascinato tanto da proporgli di stabilirsi a sulle rive del Tamigi. Le nebbie londinesi erano però nemiche per la sua voce e così, seppur a malincuore, dovette far ritorno in Italia. Giacomo II conserverà per sempre nell'animo le dolci melodie di Siface, che lo aiuteranno a sopportare l'esilio in terra francese dopo la svolta protestante nell'isola, culminata con la sua detronizzazione.


Tornato nella Penisola, Giovanni fu ospite dell'ex regina di Svezia Cristina, che per seguire i dettami del papa oppose il gran rifiuto al suo trono. Riprese le sue tourneès e, proprio durante una di queste conobbe....l'amore della sua vita. Per una donna, sissignori, per una donna. Il cantante era impegnato al teatro di Bologna, ove conobbe un'amante del melodramma. Si trattava della nobildonna Maria Maddalena Marsili, al momento libera da ogni legame sentimentale e matrimoniale. I due si frequentarono inebriati dalla passione, provocando autentico ribrezzo nelle povere menti dei bigotti del tempo (ricordate lo zio prete del film Il Marchese del Grillo?). I fratelli della donna non trovarono altra soluzione che chiuderla in convento. Ma, tempo dopo, al ritorno della compagnia di Siface in terra d'Emilia, il fuoco si riaccese.

 

Oggi gli endocrinologi hanno dei dubbi sulle possibilità diciamo...amatorie di un uomo sottoposto a castrazione in tenera età. Ma, evidentemente, i due sapevano il fatto loro. Cosa che ai fratelli della donna non andava affatto giù. Con fare turpe, timorosi di uno scandalo, assoldarono dei sicari che uccisero Giovanni Grossi al ritorno in Emilia dopo un periodo di assenza. Il luogo dell'agguato si chiamava Malalbergo, e il nome ha in sé qualcosa di sinistramente inquietante.

 

I fratelli Marsili furono individuati ma non condannati a morte per essere i mandanti di un omicidio. Il Duca di Modena però ottenne che fossero esiliati falle legazioni pontificie, ove era accaduto il crimine (nella attuale provincia di Ferrara). Si chiudeva così la parabola terrena di Siface, divo che maltrattò l'ambasciatore di Francia per non averlo applaudito a dovere e che seppe amare una donna pur essendo stato privato del bigottismo barocco della sua virilità...almeno all'apparenza.


Per meglio inquadrare questo straordinario personaggio, un libro, un luogo, un lascito morale.
LIBRO: Esistono poche pubblicazioni in proposito. Ne segnaliamo una antiquaria: Siface e la sua tragica fine: storia di un cantante del XVII secolo. Corrado Ricci, editrice Naturalistica.
LUOGO: il Duomo di Pescia. L'altare maggiore policromo realizzato dall'artista carrarese Giuseppe Vacca fu finanziato da Siface.
LASCITO MORALE: Nessuno ha il diritto di sconvolgere la natura, soprattutto per bigottismo ed ignoranza.

 

di Giancarlo Fioretti

 
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21/2/2016 - 15:45

AUTORE:
andrea f.

Ancora una storia appassionante ed a me sconosciuta fino ad oggi . Una storia che ci ricorda che il tema di un amore non canonico , diverso , è un tema senza tempo che il potere ha sempre cercato di eludere . Ed anche l'amministrazione della giustizia , accompagnata , indirizzata , dal potere è molto moderna . Grazie dott Fioretti