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LEGALITA': UN PRINCIPIO O UN VALORE?
di Antonia Valentina Sarica
Legalità: una nuova rubrica

6/2/2011 - 10:47

LEGALITA’: un principio o un valore?

 

Capita di frequente di sentire figure di un certo rilievo, figure istituzionali come il Presidente della Repubblica, parlare di legalità, associando a questo termine locuzioni come "principio" o "valore", come qualcosa che, nello specifico, se non insegnato ai giovani porta al dilagare della violenza e della criminalità, anche di stampo mafioso. Sono certamente belle parole, che si addicono a figure di grande importanza, ma se le riportiamo nella pratica quotidiana, risultano essere così foriere di risultati? Possono bastare intendimenti, parole, aspirazioni per migliorare le cose? E nello specifico dell’argomento trattato: la legalità è davvero un principio inconfutabile oppure si tratta di un valore a cui tendere ed aspirare?

 

Un principio, un valore, deve essere qualcosa che permetta in casi di dubbio di discernere il giusto dallo sbagliato, qualcosa di fondamentale e certo, in cui poter avere cieca fiducia. Un principio è qualcosa di stabile, che sta alla base di un sistema (fisico, politico o altro), da cui tutto poi discende. Esistono poi certamente principi totalmente negativi, "principi del male" potremmo definirli, ma non è questo il caso. Un valore invece è un punto di riferimento nella vita di un uomo che detta tutti i suoi comportamenti, ed è un criterio nell'operare le proprie scelte.Indubbiamente valori e principi sono forse quanto di più importante un giovane possa e debba apprendere, e in questo lo Stato fa bene a fare la sua parte, anche se inevitabilmente l'impronta maggiore la lascia sempre la famiglia, ma non perdiamoci nei soliti vuoti discorsi di attribuzione di responsabilità. Pace, rispetto del diverso, non-violenza e molto altro ancora possiamo elencare tra i valori ai quali le istituzioni farebbero bene a tentare di educare i giovani, nel senso latino, di "edurre", tirare fuori.

 

Ma la "legalità"? Si può edurre? Può davvero essere un principio? Guardiamo da vicino questo oggetto, la legge. La legge è qualcosa che certamente non avrebbe senso di esistere se si vivesse da soli, isolati, si tratta di qualcosa nata per poter convivere in una società organizzata, non è di per sé indispensabile.La legge deve tendere a garantire una pari libertà a tutti (criterio base della giustizia), sostanzialmente limitando le libertà del singolo. È una dura necessità, assolutamente indispensabile per vivere insieme. Tuttavia, come ogni e qualsiasi creazione umana, anche la legge, è fallibile. Durante il XIX e il XX secolo l'uomo si è illuso di aver creato qualcosa di vero, solido e stabile grazie alla scienza, ed era arrivato persino a tentare di fare della politica una scienza (in particolare con il socialismo scientifico di Engels, "L'evoluzione del socialismo dall'utopia alla scienza", 1880), ma questa fiducia è caduta ben presto insieme al pensiero positivista. Aveva ragione Karl Popper nel dire non va progettato uno sistema politico perfetto, ma perfettibile: uno Stato sempre conscio della sua fallibilità e sempre in tensione verso un miglioramento progressivo.

 

La fallibilità dello Stato, e quindi della legge, dovrebbe essere il fondamento di un sistema democratico.Se considerassimo la legge come un valore, come qualcosa da rispettare incondizionatamente, che cosa dovremmo fare se essa fosse dettata da un sistema razzista ad esempio? Se ci trovassimo nella Russia zarista dei pogrom, nella Germania nazista delle camere a gas, nel Sud Africa dell'apartheid o nel Ventennio fascista della soppressione delle libertà dell'individuo? Ma senza ricorrere a regimi dittatoriali, si pensi alla segregazione razziale nei democraticissimi Stati Uniti d'America, durata fino agli anni Sessanta.Razzismo e soppressione delle libertà fondamentali dell'individuo, sono solo alcuni esempi delle nefandezze che l'uomo nel corso della sua storia ha avuto il coraggio di imporre come legge.

 

E in una visione dove la legge è un "principio" cosa accadrebbe? Inazione o adesione. Il nazismo non è stata una follia di un intero popolo: come insegna Hannah Arendt (La banalità del male - Eichmann a Gerusalemme, 1963), il male da esso generato è insito in ognuno di noi, nel profondo, e può uscire molto facilmente, tanto più se giustificato da un ordine di una figura autorevole, o dalla legge stessa. A questo proposito gli esperimenti di Stanley Milgram possono essere un ottimo esempio. Questo noto scienziato nel 1961 riunì un gruppo di volontari per effettuare dei test consistenti nel punire un individuo con una scossa elettrica ogni volta che commetteva un errore nel rispondere ad un quesito. Le regole prevedevano anche scariche letali. Se il soggetto si rifiutava di procedere nell'applicazione della pena veniva incitato 4 volte in maniera progressivamente più intensa. La presenza di queste regole, spinse il 65% dei soggetti ad applicare una punizione mortale.

 

Può dunque essere la legge un principio da insegnare ai giovani? Può essere un valore la totale e incondizionata sottomissione all'autorità? O bisognerebbe forse insegnare loro a pensare con la propria testa, a contestare ciò che ritengono ingiusto e se necessario anche a non rispettarlo deliberatamente?
La legalità non è qualcosa a cui si può educare, è solo qualcosa che si può imporre.

È il senso di giustizia che si può educare invece.

 

Ma torniamo a terra, senza pensare a violenza, razzismo o altro, cose che probabilmente oggi (erroneamente) sentiamo lontane dalla situazione attuale. Nelle grandi questioni come nelle piccole, però, il concetto è lo stesso. Quante volte ci è capitato, come nella canzone "Il bandito e il campione" (Francesco De Gregori, 1993), di cercare giustizia ma di trovare la legge? Quante contraddizioni, incoerenze, cavillosità ogni giorno incontriamo nella legge? Come si può poi chiedere di avere fiducia nella legge, come fosse un valore, un principio? Impossibile.E questo è vero in Italia in particolare, dove vale senza dubbio la regola della "spintarella" che risulta, di fatto, il sistema più usato per far muovere i lavoratori da un posto all'altro. Ma si è dimostrato che è anche il modo più sicuro di immobilizzare il Paese intero. Perché livella ogni merito, azzera qualunque formazione, blocca la ricerca. Dal settore della sanità a quello universitario, dagli scambi di poltrone del grande capitalismo al micro-nepotismo della piccola impresa: un colossale spreco di energie, risorse e creatività.

 

Il genio della sperimentazione sulle staminali che fugge all'estero perché qui deve "aspettare il suo turno" per essere promosso;

il brillante fisico costretto a comprare meteoriti su eBay e analizzarli nel tinello;
il barone che con una telefonata "fa fuori" da un concorso un promettente cardiologo e molti altri.

 

A mio avviso occorre rivalutare l'individualismo meritocratico degli anni Ottanta e debellare questa  “malattia degenerativa” che la classe dirigente del Paese non può e non deve più ignorare. Questa malattia rischia di distruggere le migliori cellule della società generando una progressiva paralisi che minaccia il futuro di tutti noi.


Per sbloccare un'economia che stagna da più di vent'anni, è indispensabile valutare e valorizzare il talento nella scuola e nell'università, negli enti pubblici e nelle imprese. È necessario restituire ai consumatori e ai cittadini un ruolo centrale. È drammaticamente urgente aumentare le opportunità per le donne e i giovani. E’ quindi necessario un drastico cambiamento culturale per rispondere alle sfide del nuovo millennio. La nostra classe dirigente non potrà fare finta di niente e dovrà cominciare a dare il buon esempio.

 

Forse la Costituzione può essere vista come il punto di “ri-partenza”, qualcosa in cui credere, è il cuore del contratto stipulato tra i cittadini, la parte fondamentale e meno mutabile, stesa ai tempi in cui è nata la Repubblica e in cui la politica era qualcosa di serio e di importante, strumento di un popolo liberato dall'oppressione per rivendicare le proprie libertà, i propri diritti e i propri doveri.

 

Ma torniamo ora al principio dell'argomento: perché è sbagliato insegnare ai giovani la legge come un valore? Perché prima di tutto la legge sbaglia. In secondo luogo, perché, dove la legge sta nel giusto, c'è un motivo ed è questa ragione che bisogna far comprendere ai ragazzi, tentare di imporre la norma non è sufficiente.Le Istituzioni dovrebbero mostrare con continuità quelle pratiche che si oppongono validamente alla società illegale e che appaiono oggi troppo isolate, decontestualizzate e legate esclusivamente ad eventi sporadici o a commemorazioni di personalità autorevoli nel campo della lotta e del contrasto alla criminalità; la lotta alla illegalità non passa solo attraverso la memoria di figure autorevoli, anche, ma soprattutto attraverso la costruzione di una rete stabile di rapporti trasparenti alla quale quelle figure danno motivazione e orgoglio di appartenenza ideale e valoriale. Il contrasto, così, alla società violenta passa attraverso il coraggio di piccoli uomini e donne il cui scatto di dignità costituisce la risposta alla provocazione di quanti malversano il Paese. Magistrati, preti, suore, sindacalisti, imprenditori, docenti universitari e non, educatori, giornalisti impegnati in prima linea hanno bisogno, per le loro battaglie quotidiane, di ricevere solidarietà esplicita da parte della collettività, ed hanno anche e soprattutto bisogno della presenza costante di istituzioni che sappiano vigilare e offrire la certezza della lotta costante all’illegalità e di uomini politici che non cedano al compromesso rendendosi complici di malcelati interessi.

Occorre un progetto, un’idea guida, e deve essere la politica a muoversi, ma accanto all’idea occorrono fatti e uomini che vadano oltre l’interesse immediato e particolare e sappiano pensare al bene comune come a un valore della società, a un impegno transgenerazionale, ad un ideale per il quale, nel corso della storia dell’Italia e del mondo intero in molti hanno lottato e continuano a lottare per esso in quanto superiore ad ogni interesse individualistico, di casta e/o “di famiglia”.

 

Auspico che le nuove generazioni promuovano un “nuovo corso” che sia da esempio per tutta la società civile, per le forze politiche e sociali, per il mondo del sapere e dell’associazionismo e che questo si traduca in una forte mobilitazione di massa

 

Antonia Valentina Sarica

 
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9/1/2012 - 18:59

AUTORE:
Luca

bell' articolo ma l'autrice sottointende di trovarsi in un paese con una democrazia partecipativa di cittadini attivi.La realtà è che viviamo un periodo storico di declino della vera democrazia in cui i cittadini sono resi apatici dai mezzi come la televisione (in primis) e internet.Insomma la globalizzazione ha riportato ai vertici del potere mondiale colore che 150/200 anni fa furono spodestati con la differenza che ora si son fatti più furbi.
Andiamo alla radice dei problemi e non a quelli che si autorisolverebbero se la radice non esistesse.

12/2/2011 - 13:30

AUTORE:
gianni

Sono una persona molto semplice per cui non mi azzardavo quasi a dire la mia sulla Sua rubrica.Ma qualche volta bisogna azzardare,anche perchè la mia voglia di farLe i complimenti ha vinto sul timore di mettere nero su bianco,come si diceva ai miei tempi.
Davvero interessante e per niente scontato.Mi auguro che continui la Sua collaborazione per il piacere che ci dà a leggerLa.
Cari saluti