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MONTECATINI
Un nostro lettore: "Serve un nuovo senso di comunità, partendo dagli spazi comuni di incontro e riflessione"

8/6/2024 - 11:49

Un nostro lettore, lo stednte universitario Filippo Bruni, ci invia questa lettera che volentieri pubblichiamo.

 

"La vita politica per l’essere umano è l’unica vita possibile. Per vita politica intendo qualcosa di molto generico ma allo stesso tempo di estremamente preciso: è quel modo di essere umani di chi sceglie di declinare il proprio destino al plurale.


Siamo naturalmente portati a unirci in vista di un fine comune. Dimenticarci di questo e chiuderci nell’orizzonte asfittico degli interessi individuali significa tradire la nostra natura.


Mi chiedo spesso come sia stato possibile allontanarci tanto da questo significato alto di politica. Le ragioni probabilmente sono molte e dovremmo trovarle insieme, ma qualche indizio da cui partire può offrircelo uno sguardo attento sulle parole.


Le parole vanno osservate. Analizzarne le evoluzioni e i movimenti è un modo per capire moltissimo di una società. A volte infatti le parole non si limitano semplicemente a indicare le cose. A volte le parole sono le cose e questo è senz’altro il caso della politica.


La parola politica è stata svilita, svuotata di senso e umiliata negli ultimi decenni. È divenuta una parola del potere, della sopraffazione, dell’inganno. È divenuta una parola astratta e fumosa, e invece la politica è fatta di carne, di sogni concreti, di paure comuni e di progetti che devono unire tutti. È divenuta una parola lontana, chiusa nei palazzi di chi amministra, e invece la politica cammina per le strade, vive nelle piazze, nasce e si alimenta nelle discussioni che i cittadini hanno al di fuori dei palazzi.  La politica è divenuta sinonimo di potere, e invece dovrebbe esserlo di libertà.
 
In queste settimane mi sono convinto che per poter rifondare un discorso politico sensato ci sia solamente una strada: ripartire dalle domande comuni. Il primo inevitabile passo per tornare a sentirci partecipi di un orizzonte collettivo è iniziare a interrogarci reciprocamente e inondare le piazze dei nostri perché.


Porsi domande rappresenta il primo atto possibile di partecipazione. Domande su tutto, perché tutto ciò che riguarda la vita umana è politica. Le domande sono semi che germogliano nel cuore di chi le accoglie: nascono nella mente dei singoli ma dei loro frutti traggono beneficio tutti.


Bisogna però sottolineare che questo processo virtuoso per poter funzionare deve necessariamente realizzarsi in un orizzonte collettivo. La domanda diventa veramente fertile quando ci sono degli interlocutori a cui porla. La domanda è come un ponte che unisce fra loro le menti. Essa esprime tutto il suo potere quando è animata da uomini e donne che vivono la medesima urgenza di capire, di prendersi a cuore i problemi dell’altro e di iniziare a ragionare adoperando la prima persona plurale. Persone che vivano l’urgenza di ritornare al noi. Non c’è possibilità, infatti, di realizzare la propria umanità in un orizzonte che sia unicamente individuale.


Mi pare dunque che per muovere questo primo passo sia essenziale creare uno spazio comune, dove si ricostituisca una rete di interlocutori che siano uniti da dubbi e interrogativi, prima ancora che da certezze. Questo spazio non può che essere un teatro.
 
È parlando del sogno di un teatro che ho concluso la scorsa lettera aperta, augurandomi che quello potesse essere il luogo in cui riuscire a trovare una risposta alla domanda “che cosa abbiamo in comune?”.


Quando parlo di teatro, ne parlo nel senso più ampio che si possa immaginare. Ne parlo come di uno spazio ideale di condivisione, di raccoglimento e di incontro. La politica comunale forse non deve far altro che fornire ai cittadini buone occasioni per incontrarsi. Il suo compito più alto dovrebbe essere quello di garantire l’opportunità di potersi riunire intorno a cose che emozionano, scuotono e interrogano. È proprio in questo spazio ideale di emozioni e domande condivise che potrà rinascere la nostra comunità.
 
Sogno un teatro immerso nel nostro parco, che è il vero cuore della città. Un teatro minimalista, che si confonda con la natura. Un teatro fatto di persone più che di mattoni. Sogno un teatro all’aperto. Ma ancora di più sogno un teatro aperto, dove chiunque possa passeggiare e possa fermarsi a suonare, discutere, raccontare.


La costruzione di questo teatro non si esaurirebbe semplicemente con la messa in opera di qualche fila di gradoni o di un palcoscenico. Dovrebbe trattarsi di uno di quei progetti di ampio respiro che iniziano e, se funzionano, non finiscono mai.


Sarà il luogo dove chiamare poeti a fare letture pubbliche, dove chiamare musicisti, danzatori, attori. Sarà il luogo in cui ascoltare studiosi di storia raccontarci cosa cambia di noi attraverso i secoli e cosa invece rimane immutato. Sarà il luogo dove chiamare filosofi con cui discutere di che cosa sia la morale, di cosa sia la politica. Solo quei filosofi però – condizione importantissima – che siano disposti a farsi fare tante domande. Questo teatro infatti dovrà essere il teatro delle domande.


Sogno che vi accoglieremo registi che ci raccontino cosa significa fare di un’idea una pellicola. Pittori che raccontino il significato dei colori. Sogno di ascoltarvi antropologi che tornando da luoghi sconosciuti cerchino di spiegarci cosa significa per loro la diversità. Astronomi che ci parlino dell’immensamente lontano, chimici e fisici che ci raccontino l’intima composizione delle cose. Sogno che ci riuniremo per ascoltare un biologo emozionato che ci parla di evoluzione o un teologo commosso che ci parla di grazia e di perdono. Sogno il luogo della cultura enciclopedica, nel senso etimologico del termine: il luogo della cultura a tutto tondo. I saperi sono tanti quanti i raggi del sole, ma la cultura, proprio come il sole, è una sola. È una e ci riguarda tutti.


Sogno che sotto i pini potremo commuoverci ascoltando la stessa musica e che siano messe in scena in pineta tragedie di Shakespeare e commedie di Pirandello. Sogno che volino sui nostri prati le parole di viaggiatori, le denunce di scrittori e giornalisti. Sogno una pineta invasa da storie. Storie di amore che ci emozionino, storie di ingiustizie che ci indignino. Ma ciò che soprattutto sogno è che in questo ascolto condiviso riaffiorino dentro di noi quelle poche domande essenziali in cui si può riassumere ciò che chiamiamo umanità. L’umanità, infatti, forse non è nient’altro che un gomitolo di interrogativi comuni che ci lega e ci tiene insieme. Sogno un teatro delle domande.


Cosa c’entra tutto questo con la politica? Forse tutto o forse niente. Dipende naturalmente da ciò che intendiamo per politica.
 
Questo teatro non dovrà dare nell’occhio. Basterà un palcoscenico semplice, piccolo, nascosto. La sua platea saranno le persone, il suo tetto sarà il cielo, i pini saranno i suoi pilastri e i suoi corridoi saranno i viottoli della pineta. Il teatro delle domande si costruirà ogni volta che qualcosa andrà in scena, ogni volta che qualcuno si riunirà per ascoltare qualcun altro.


Magari per il palcoscenico potremmo adoperare le rovine della chiesa di Cambray Digny. Quelle colonne e quei capitelli rappresentano molto per noi montecatinesi e ora giacciono dimenticati nel parco della biblioteca. Poggiare la prima pietra di un progetto di rinascita proprio sulle rovine di un edificio tanto importante avrebbe in sé un grande valore simbolico.


Non dovremo calarlo dall’alto questo teatro. Dovrà essere il prodotto di un desiderio comune: il desiderio di tornare a sentirci una comunità.


Le comunità si ricostituiscono con il paziente, ostinato e coraggioso lavoro di cittadini che scelgono di andare controcorrente e che decidono di mettere in comune le proprie energie e i propri talenti per crescere insieme. Si tratta di un percorso difficile, di partecipazione e di sacrifici ma potremo farci guidare da esperienze simili realizzate in comuni e province vicine. Una cosa però sarà necessaria più di ogni altra: vivere l’urgenza di restaurare un nuovo senso di comunità.

Questo è il motivo per cui ho tanto a cuore la vita politica comunale. Solo nell’orizzonte cittadino, infatti, cioè nello spazio concreto degli incontri e dei momenti condivisi, potremo ricostituire l’ormai perduta dimensione della vita collettiva. Per quale motivo è così urgente ricostituirla? Perché essa è una condizione necessaria per essere davvero felici: la felicità è un bene che si costruisce in comune".

 
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10/6/2024 - 7:52

AUTORE:
Nicola

Caro lettore, sarei grato di poter fare due chiacchiere con te in quanto condivido in pieno il tuo pensiero e aggiungerei in tutto ciò, oltre ad incontri letterari ecc, far riscoprire ciò che è artigianato ed arte alle persone, dato che questa società così impostando sta distruggendo tutto ciò, sta distruggendo la nostra cultura e il nostro benessere.
Grazie infinite per il suo articolo, significa che un briciolo di speranza forse c’è ancora 🙏😇