A.S. Estra Pistoia Basket 2000 comunica di aver raggiunto l’accordo per la risoluzione del contratto professionistico con la guardia Leonardo Cemmi: al ragazzo il club augura le migliori fortune per il prosieguo della propria carriera.
Cmb Valdarno - Acqua Dell'elba Nico Basket 63-83
Domenica 1 dicembre, in occasione della sfida casalinga de La T Tecnica Gema Montecatini contro la Pielle Livorno al Pala Carrara, Pallacanestro Montecatini tornerà con forza a lanciare un messaggio importante.
Le società sportive di calcio di Monsummano Terme: Intercomunale Monsummano - Fc Cintolese Calcio - Asd Bioacqua Le Case – Asd Città di Monsummano in collaborazione con il Comune di Monsummano Terme hanno deciso di sostenere la Befana.
Mandata in archivio, con risultati eccellenti, la prima tappa della NextGen Cup che ha caratterizzato l’attività agonistica dell’ultimo weekend, vediamo come stanno andando avanti i campionati del Pistoia Basket Junior.
Il pilota portacolori di Motor Zone Asd, infatti, è stato fermato da un problema tecnico accusato, in avvio del secondo giorno, dalla Hyundai i20 NG Rally2 di Friulmotor, che condivideva con Paolo Garavaldi.
Momento di presentazione alla stampa e alla città per il neo-acquisto dell’Estra Pistoia Basket, Andrew Smith (che indosserà la maglia numero 21), che ha fatto il suo debutto nell’amichevole di sabato scorso a Castellarano contro la Pallacanestro Reggiana.
Il movimento del basket femminile legato al mondo Pistoia Basket è in continua evoluzione e, soprattutto, in grande crescita.
Raccontami un libro, di Ilaria Cecchi
Una mostra a scopo benefico allo Sweet by Daniele Grieco, da parte dell'associazione Anna Maria Marino.
Ci fu un momento, negli anni Venti del Novecento, che un pugno di uomini della provincia di Pistoia furono assoluti protagonisti della Storia d'Italia. Mi riferisco agli eventi successivi al tragico rapimento del deputato socialista unitario Giacomo Matteotti, avvenuto il 10 giugno del 1924 sul lungotevere Arnaldo da Brescia nel centro di Roma.
Durante l'azione criminale, compiuta da una squadra fascista collusa con la polizia segreta del Regime, Matteotti fu barbaramente ucciso, e il suo corpo occultato alla Macchia della Quartarella, una zona boscosa a 25 chilometri dalla capitale nel Comune di Riano.
Quando il cadavere del parlamentare fu rinvenuto casualmente alcune settimane dopo il delitto, il Fascismo vacillò a causa dell'indignazione generale provocata da un atto così efferato.
Un magistrato incorrotto e incorruttibile, Mauro Del Giudice, capì immediatamente in quale direzione si dovesse indagare. L'inchiesta si diresse subito verso l'entourage mussoliniano, capeggiato all'epoca dal pesciatino Cesare Rossi. Rossi, proveniente dal sindacalismo rivoluzionario, era diventato capo della segreteria personale del Duce. E, proprio in virtù del suo ruolo, dedusse il magistrato, "era impossibile che non sapesse qualcosa".
Messo sotto torchio, Rossi professò la propria innocenza, scrivendo di suo pugno un memoriale che, in quelle turbolente settimane, iniziò a 'saltare' da una scrivania all' altra.
Il dossier in pratica accusava indirettamente Mussolini di essere l'ispiratore morale del delitto. Una vera e propria bomba, che avrebbe potuto far saltare in aria il giovane regime.
Giunto nelle mani di Tullio Benedetti, deputato liberale di Uzzano e fervente monarchico, il memoriale fu alla fine affidato al Gran Maestro del Grande Oriente d'Italia Domizio Torrigiani, nato a Lamporecchio il 19 luglio del 1876 nella villa di San Baronto ove era solito trascorrere le sue ferie estive.
Torrigiani, trovandosi in possesso di un materiale così scottante, chiese consiglio all' amico e fratello massone Dino Philipson, un liberale pistoiese che, dopo aver appoggiato il Fascismo in funzione antibolscevica, se ne era distaccato velocemente allorquando ne aveva intuito i tratti antidemocratici.
Rossi, Benedetti, Philipson ma soprattutto Domizio Torrigiani tennero quindi in pugno le sorti d'Italia in quel tormentato autunno del 1924.
Anche perché oltre al memoriale di Cesare Rossi, ne spuntò pure un altro, redatto dal direttore del Corriere Italiano Filippo Filippelli che, con la complicità del giornalista ed editore Filippo Naldi, aveva fornito, a suo dire senza saperlo, supporto logistico agli autori materiali del delitto.
Entrambi i dossiers furono poi convogliati da Domizio Torrigiani verso Ivanoe Bonomi, leader socialista unitario molto ascoltato negli ambienti di Corte.
Bonomi li passo' quindi nelle mani del Re, divulgandone forse il contenuto anche alla stampa, visto che a breve divennero di dominio pubblico.
Il Fascismo, tuttavia, riuscì a passare indenne da questa burrasca, e Mussolini giurò solennemente di farla pagare cara a coloro che avevano tentato di scardinare la sua creatura.
E fra i primi a subire le conseguenze dei propositi di vendetta del Duce, fu proprio Domizio Torrigiani, che pur fra mille difficoltà, nel 1925 reggeva ancora le sorti della massoneria italiana.
Dopo la laurea in giurisprudenza conseguita all'Università di Pisa e l'affiliazione massonica presso la Loggia Humanitas di Empoli, Giustiniani si dette all' attività forense, non disdegnando anche la militanza politica fra le fila del Partito Radicale, di cui entrò a far parte della segreteria nazionale.
Intransigente propugnatore del laicismo in politica, non ebbe esitazioni ad approvare la linea del suo Partito, che aveva deciso di uscire dalla maggioranza governativa liberale allorquando trapelò la notizia del Patto Gentiloni, che in pratica spianava la strada per il Parlamento ad un gran numero di deputati cattolici.
Anti-giolittiano anche e soprattutto per questo motivo, Torrigiani fu tuttavia molto tiepido di fronte ad un possibile ingresso dell'Italia nel Primo Conflitto Mondiale. Nel frattempo, la sua scalata agli alti vertici della Massoneria era continuata rapida, decisa ed impetuosa.
La sua giovane età lo faceva un ottimo candidato alla successione di Ernesto Nathan, l'ex sindaco radicale di Roma che reggeva da tempo le redini del Grand Oriente d'Italia. Quando Nathan si dimise (partendo per il fronte alla tenera età di 70 anni), Torrigiani fu individuato subito come il nuovo Gran Maestro della Massoneria di rito scozzese.
All'inizio guardò con una certa simpatia al nascente movimento fascista, pur raccomandando ai fratelli massoni di non assumere cariche di rilievo nel nuovo organismo politico. Invisa tuttavia ai nazionalisti ed ai fascisti più movimentisti, la Massoneria iniziò ad essere presa di mira già all'indomani della Marcia su Roma. Ne fecero le spese alcuni esponenti di primo piano, fra cui il già citato avvocato pistoiese Dino Philipson, che fu fra i primi a mettere in guardia Torrigiani riguardo all'involuzione in senso autoritario del fascismo.
Il clima intorno alla Massoneria si faceva quindi di giorno in giorno più teso, e moltissime furono le Logge in Italia che furono attaccate e distrutte dai picchiatori in camicia nera. Le idee universalistiche e liberali propugnate dalla Massoneria non potevano essere accettate da un movimento, diventato partito, che vedeva nella Democrazia il suo avversario principale.
Di fronte al dilagare della violenza , la Massoneria scelse di non reagire, allineandosi così a gran parte del mondo politico italiano che stava abdicando di fronte ad un avversario allora oggettivamente imbattibile con le sole armi della dialettica politica.
Torrigiani cercò tuttavia di salvare il salvabile, cercando di aiutare i fratelli più ostili al fascismo ad espatriare, e favorendo altresì il trasferimento all'estero ( in Francia in particolare) degli elenchi degli affiliati alle Logge nonché del patrimonio monetario della massoneria stessa. La situazione precipitò infine, senza possibilità di porvi rimedio, quando un maldestro tentativo di attentato alla vita del Duce, fu sventato all'ultimo minuto dalla polizia politica. Protagonisti un po' avventati di questo mancato tirannicidio, furono un generale dell'esercito, il generale Luigi Capello, ed un deputato del Partito Socialista Unitario. Quello di Matteotti per intenderci: Tito Zaniboni.
Ambizioso e forse non troppo lucido nell'analisi complottistica, Zaniboni prese alloggio presso una camera dell'hotel Dragoni di Roma, situato proprio dirimpetto a Palazzo Chigi.
Con un fucile di precisione austriaco fornito dal generale, il deputato della Bassa Padana avrebbe dovuto porre fine alla vita di Mussolini, quando gli fosse capitato a tiro.
Una soffiata alle forze dell'ordine bloccò tutto, consegnando i due attentatori alla galera ed inducendo Torrigiani ad allontanarsi dall' Italia. Zaniboni era infatti massone, e Torrigiani fu indicato dal Regime come l'ispiratore morale del fallito attentato. Rifugiatosi per un periodo in Costa Azzurra, ospite fra gli altri anche dell' esule di lungo corso Luigi Campolonghi, ebbe la dirittura morale di rientrare in Italia al momento del processo dei due mancati attentatori, che lo vedeva accusato peraltro di correità. I due furono condannati a 30 anni, Torrigiani, invece, fu assolto.
Il giorno successivo alla sentenza, fu comunque prelevato dalla polizia, che lo trascinò di fronte al Tribunale Speciale. Fu condannato a cinque anni di confino, mentre oltretutto fu costretto a vedere la Massoneria italiana cancellata in virtù della nuova legge che scioglieva tutte le associazioni segrete.
Lo stesso Palazzo Giustiniani a Roma fu occupato dagli squadristi. Lipari, Ponza e Montefiascone furono le stazioni della sua via crucis laica.
Ristretto al confino, ebbe addirittura la forza di costituire, con altri fratelli reclusi, la Loggia massonica Carlo Pisacane. Intanto però la salute lo stava abbandonando, come peraltro la vista.
Fu liberato dai suoi aguzzini solo per concedergli la possibilità di morire nella sua bella villa di famiglia di San Baronto. Era il 30 agosto del 1932, e neppure il suo funerale poté svolgersi in tranquillità, essendo stato vietato dalle autorità competenti.
Per la sua testimonianza negli Ideali della Democrazia, Torrigiani viene ricordato come il Gran Maestro Martire.